È un Festival che va a rilento rispetto allo scorso anno ma che riesce in qualche a modo a dare il senso del suo percorso.
Poco importano gli ascolti che, logicamente, ruotano intorno all’appeal del grande cast, farcito da tantissimi giovani che tirano il carro con il loro bagaglio di appassionati e follower in salsa social.
Perché al di là degli ascolti, c’è una qualità da preservare, insomma, signori, è pur sempre il Festival della canzone italiana, e come tale, va preservato e rispettato.
Completamente il contrario di quello che è successo con John Travolta, arrivato a Sanremo solo per promuovere le sue belle scarpine, inquadrate per bene dal suo ingresso fino alla fine del suo intervento, e coniugando alla grande pubblicità occulta con un’uscita che lascia perplessi sulle dichiarazioni, del giorno dopo, del cosiddetto “Ballo del qua qua”.
Una caduta di stile di Amadeus che, con grande puntualità, ha subito chiarito come non fosse assolutamente a conoscenza degli intenti pubblicitari di Travolta. E noi ti crediamo Amadeus, figurati se dopo tutti questi Festival non ti si perdona una una cosa del genere, ma speriamo solo che in futuro, questa amara lezione, ci serva per puntare sui nostri preparati attori piuttosto che su passate star di Hollywood.
E allora cosa ci rimarrà di questo Festival?
Sicuramente alla fine della giostra le parole di Allevi ce le porteremo nel cuore; l’eleganza della Mannoia; la grinta infinita della Berté; la freschezza di Annalisa e Angelina Mango; la spensieratezza poetica dei Ricchi e Poveri.
Un Festival forse senza canzoni che rimarranno nel tempo ma che puntano tanto all’estate che verrà.
Corsi e ricorsi storici.
Il Festival è tutto e il contrario di tutto.
E anche per questa volta, vuoi o non vuoi, ha fatto rumore e lo farà ancora di più nelle ultime due serate.
Dino Vitola