“Nel caos di stanze stupefacenti”, è un album pop di qualità, un prodotto musicale che riesce ad essere una piccola eccellenza nel caotico mondo delle uscite discografiche italiane. Levante è un personaggio fuori dagli schemi, una di quelle che non punta su un pop facile radiofonico ma che fa della qualità dei suoi testi, una prerogativa imprescindibile della sua arte. E quest’album ne è l’esempio massimo.
Si parte con un preludio musicale: “Caos” è un intro sorretto da un pianoforte dolce dove la voce di Levante ci introduce in questo suo mondo dorato. Lo fa con un tocco fine, con un testo ispiratissimo che forse avrebbe trovato più sfogo in una canzone più lunga a livello di minutaggio. Ma è un inizio particolare, dolce… in punta di piedi.
Cambia tutto con “1996 La stagione del rumore”, uno dei pezzi più forti dell’album e che risulta essere anche radiofonicamente giusto e mai banale. Una storia d’amore colorata da cadute immense e risalite veloci. E poi i litigi, il rumore sopra l’amore, sopra ogni passione. Il passato che ritorna a far male e il gioco di parole fra primavera, autunno e la fine della storia con l’inverno. La musica è prettamente pop coadiuvata da giochi elettronici che si sposano bene con le intenzioni di Levante.
La traccia 3 vede la volta di “Io ti maledico”. Ci si immerge ancora in un rapporto fra uomo e donna. Qui si parla di quotidianità, di un presente condiviso che non riesce però a decollare. Il ritmo è altalenante, l’inciso non esplode completamente ma è un proseguo giusto con le strofe che inquadrano una situazione sentimentale che tutti prima o poi vivono. Non un brano riempitivo, ma una storia che ha un suo perché.
Alla traccia 4 uno dei capolavori del disco. “Non me ne frega niente” è un manifesto moderno dell’uomo comune. In un mondo dove tutti fanno gli eroi, finta beneficenza, dove tutti son capaci di apparire puri, buoni, Levante urla a tutti il suo essere fuori da ogni schema, la sua individualità sputata in faccia a tanti sapientoni e grandi maestri. Un egoismo profondo che racchiude un pezzo di tante anime che fanno fatica a dire la propria. Ecco, Levante con questo brano non vuole fare altro che dare spazio al suo io più esagitato e così facendo, forse non sa, o fa finta di non sapere, che rappresenta una schiera molto numerosa di persone. Ci siamo, e ci siamo alla grande.
Alla numero 5 un altro capolavoro: “Io ero io”. Toni dolci, melodie sognanti, una ballata sempre corredata da un testo bellissimo: “Se il male vive c’ero io tra le tue lacrime”. Un urlo d’aiuto, una richiesta disperata verso la ricerca del proprio io. Una canzone che va nel profondo, uno di quei brani che cercano di porgerti la mano quando tutto va a rotoli, quando non bastano più le parole, le sensazioni, le emozioni. Levante è lì, quasi come una voce fuori campo, quasi a spronare il protagonista della storia, stremato e ormai ad un passo… dal cedere. Una ballata di rara bellezza. Caspita, come scrive Levante!!
Eh sì, la forza di quest’album è che arriva alla traccia numero 6 non facendoti prendere respiro. “Gesù Cristo sono io”, è un altro tocco di grande maestria, intriso di giochi lessicali e di concetti semplici ma espressi con una freschezza testuale che è disarmante. E l’inciso picchia anche forte, forse musicalmente è la canzone più valida. Ma qui, la differenza, la fa il testo, come spesso poi accade con Levante. Metafore cristiane per raccontare uno stato d’animo pieno di risentimenti: la bravura di questa grandissima artista sta proprio nello stravolgere l’ascoltatore trovando sempre strofe potenti che non ti lasciano mai indifferente. Immensa.
E si arriva così alla traccia numero 7. “Diamante” è il pezzo meno valido fino a questo momento. Una ballata che cambia ritmo sull’inciso e che è un altro piccolo urlo verso la persona amata. “Fidati di me” canta Levante, e più che ad un’altra persona sembra cantare all’ascoltatore distratto, a quello che per la prima volta si trova ad ascoltare un suo album. Levante vuole che ci fidiamo di lei e noi lo facciamo. “Oltre i sogni infranti di chi ha perso tanto”, ecco, anche quando il brano non ti convince la parte testuale non delude mai. Levante è una cantautrice moderna, unica nel suo genere.
Alla traccia numero 8 “Sei un pezzo di me”. Bé, radiofonica, strizza l’occhio al tormentone e forse lo è anche stata. Ma a fare la differenza è l’ironia, quell’inciso così semplice ma anche così dannatamente geniale. E le strofe sono sempre di qualità, e lo sono in un pezzo che non ha grosse pretese, tranne quella di sfogarsi contro colui o colei che ha rovinato tutto. E poi Max Gazzè che fa le veci della parte offesa, prende la propria difesa in uno scontro bellissimo che ha solo un punto d’incontro: “Sei un pezzo di me”.
E così si arriva alla traccia numero 9. “Santa Rosalia” parte lenta, dà quasi l’impressione che potrebbe essere un brano riempitivo, ma pian piano si apre con parole che sono un monito a fare di più, a spogliarsi di tutto e andare avanti seguendo solo le proprie convinzioni. La trovata geniale si ritrova nelle strofe che sembrano quasi una ninna nanna dedicata ad un figlio o ad una figlia, un manifesto da lasciare in eredità alla persona più importante della propria vita. L’inciso è un ibrido musicale fra la canzone leggera e il tormentone in stile cartoon. Musicalmente qui si poteva osare di più con un arrangiamento meno plastificato.
Alla traccia 10 “Le mie mille me”. Sembra una canzone pronta per esplodere in estate, ritmi elettronici, frenetici, divertenti. Ma se nella musica c’è gioia, nel testo c’è consapevolezza, e come spesso accade una richiesta d’aiuto: “Salvami dalle mille me”, ma poi la cronica instabilità: “Lasciami stare tra le mille me”. La totalità dell’essere umano, le croniche incertezze. Cadere e risalire, accettarsi per poi buttarsi. Brano importante per Levante.
“Sentivo le ali” è alla traccia numero 11. Questa è la canzone più facilmente inquadrabile. Ballata dedicata ad una storia finita, ad un periodo che è andato a male. Il testo qui è il meno ispirato dell’album, non cade mai nella mediocrità però, e dopo 10 brani è quasi un miracolo. L’inciso non decolla, rimane lì fermo. Un tentativo di canzone “d’amore” più pop, forse che dista un po’ dal mondo cantautoriale di Levante.
Chiude l’album “Di tua bontà”. I ritmi crescono, l’intensità avvolge l’ascoltatore nelle prime strofe. Levante canta se stessa cantando gli altri. Ci prova con un pezzo che si spacca in due quando la cantautrice urla potentemente: “Che cosa ho fatto di male per meritarmi questa fame… di te”. Musicalmente è un altro brano molto valido, forse il testo non è dei migliori ma ha dei passaggi interessanti. C’è da dire che live è il brano perfetto, pronto per far esplodere il pubblico all’unisono… soprattutto nell’inciso.
E’ l’album pop del 2017. Levante scrive da Dio, forse ancora alla ricerca di sonorità più mature e meno plastificate ma in questo disco funziona tutto, proprio tutto. Perché Levante è finalmente la faccia nuova al femminile del cantautorato italiano, e lo è perché il suo non è un prodotto di nicchia ma un album che anche radiofonicamente e commercialmente può dire tranquillamente la sua. Le musiche rispettano gli standard radiofonici moderni, a volte forse troppo. I testi sono sempre ottimi, a tratti da lode. Levante è un gioiello inestimabile. Una speranza concreta per la musica italiana.
Voto 8.5
Davide Beltrano IlFolle